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Giusta causa di licenziamento, le ipotesi del CCNL non vincolano il giudice

9 Aprile 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

Nell’accertamento della sussistenza della giusta causa di licenziamento, il giudice non è soggetto ad alcun vincolo derivante dalla previsione di ipotesi tipizzate nel contratto collettivo, salvo che per l’impossibilità di effettuare un’autonoma valutazione di maggior gravità, qualora un determinato comportamento del lavoratore addotto dal datore di lavoro a giusta causa del licenziamento, sia previsto dal contratto collettivo come specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa (Corte di Cassazione, sentenza 07 aprile 2021, n. 9304)

Una Corte d’appello territoriale aveva rigettato il reclamo proposto da un lavoratore avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli per giusta causa. A motivo della decisione, la Corte merito aveva ritenuto, dalle risultanze istruttorie, la gravità del comportamento del lavoratore e la proporzionalità della sanzione espulsiva. Nei fatti, il lavoratore aveva gravemente violato le norme di sicurezza stradale mentre si trovava alla guida dell’auto di servizio e, al controllo degli agenti della Polizia Stradale, aveva provato a convincerli a non elevare la contravvenzione, adducendo inesistenti ragioni di servizio che avrebbero giustificato la sua violazione, utilizzando cosi il nome della società datrice a fini propri utilitaristici.
Avverso la sentenza il lavoratore ricorreva così in Cassazione, deducendo l’erronea applicazione della sanzione espulsiva, con modificazione della sua qualificazione da licenziamento per giustificato motivo soggettivo a licenziamento per giusta causa, in riferimento al ritenuto notevole inadempimento previsto dalla norma del CCNL di settore applicato, nonché l’erronea sussunzione del fatto storico, senza un accertamento della sua incidenza sulla struttura del contratto di lavoro, al punto da comprometterne irreparabilmente la possibilità di prosecuzione.
Per la Suprema Corte, il ricorso non merita accoglimento.
Nel caso di specie, relativo al giudizio applicativo di una norma cd. “elastica”, qual è la clausola generale della giusta causa, che indica solo parametri generali e pertanto presuppone da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, il giudice di legittimità potrebbe censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa, piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento, in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Corte di Cassazione, sentenza 6 settembre 2019, n. 22358). Tuttavia, la Corte di merito ha operato correttamente il procedimento di sussunzione, non incorrendo nel relativo vizio, consistente nell’erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (Corte di Cassazione, sentenza 14 settembre 2020, n. 19059).
La natura legale della “giusta causa” di licenziamento, infatti, risulta svincolata dalla previsione o meno di ipotesi tipizzate nel contratto collettivo, meramente esemplificativa, di cui semplicemente tenere conto (Corte di Cassazione, sentenza n. 21162/2018).
In altri termini, il giudice, nell’accertamento della sua sussistenza o meno, in quanto nozione legale, non è soggetto ad alcun vincolo derivante dalla tipizzazione contrattuale collettiva di “giusta causa”. Essa ha, infatti, una valenza meramente esemplificativa, non preclusiva della sua valutazione in ordine all’idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, all’irreparabile rottura del rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Corte di Cassazione, sentenza 24 agosto 2018, n. 21162).
Dunque, il giudice può far riferimento alle valutazioni delle parti sociali circa la gravità di determinate condotte come espressive di criteri di normalità (Corte di Cassazione, sentenza 4 aprile 2017, n. 8718), dovendo appunto “tenerne conto”, con il solo limite di non potere effettuare un’autonoma valutazione di maggior gravità, qualora un determinato comportamento del lavoratore addotto dal datore di lavoro a giusta causa del licenziamento sia previsto dal contratto collettivo come una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa (Corte di Cassazione, sentenza 7 maggio 2020, n. 8621).

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