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Il commercialista che svolge consulenza del lavoro non può essere dominus di un consulente praticante

22 Luglio 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

22 luglio 2021 Consulente del lavoro tirocinante e dominus dante pratica devono appartenere al medesimo ordinamento professionale e, quindi, l’aspirante Consulente del lavoro deve svolgere la pratica professionale presso un professionista iscritto all’Albo dei Consulenti del lavoro, e non anche presso un Dottore commercialista che eserciti consulenza del lavoro avendo provveduto alla prevista comunicazione all’Ispettorato (Consiglio di Stato, sentenza 19 luglio 2021, n. 5441).

Con ricorso di primo grado proposto dinanzi al TAR, un dottore commercialista esercente anche attività di consulente del lavoro, avendo previamente trasmesso la prevista comunicazione all’Ispettorato, aveva impugnato la delibera assunta da un Consiglio Provinciale dei Consulenti del lavoro di rigetto della richiesta di iscrizione nel registro dei praticanti di un soggetto che intendeva svolgere la pratica presso il suo studio.
Ciò, per incompatibilità con l’articolo 2, comma 8, del Regolamento sul Praticantato attualmente vigente, il quale individua il professionista Consulente del lavoro come unico dante pratica abilitato.
Avverso tale decisione il dottore commercialista propone appello chiedendone l’integrale riforma.
Preliminarmente, l’appellante, che svolge l’attività di consulente del lavoro e si avvale di molteplici collaboratori addetti allo svolgimento di tale attività professionale, sostiene di aver interesse a formare i praticanti al fine di inserirli nel proprio ufficio. Quindi, il medesimo aggiunge di essere co-destinatario del provvedimento impugnato, in quanto il diniego di iscrizione si riferisce alla sua condizione di professionista iscritto ad un diverso ordine professionale, ovvero quello dei Dottori Commercialisti e non dei Consulenti del lavoro.
Secondo l’appellante, poi, la Legge n. 12 del 1979 contenente “norme per l’ordinamento della professione di consulente del lavoro”, prevede che il dottore commercialista può legittimamente svolgere “tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti”, previa comunicazione agli Ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intende svolgere i relativi adempimenti (art. 1).
Altresì, la medesima Legge riconosce, al fine dell’ammissione agli esami di abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro, la possibilità di essere ammessi a quei soggetti che abbiano compiuto presso lo studio di un consulente del lavoro iscritto nell’albo o di un uno degli altri professionisti (art. 1) almeno due anni di praticantato (art. 3, co. 2).
Di qui, se la legge permette al dottore commercialista di esercitare l’attività di consulente del lavoro, deve essergli consentito anche di far svolgere presso di sé l’attività di praticantato per l’accesso alla professione, avendone le necessarie competenze.
Secondo il Cosiglio di Stato, la tesi non può essere condivisa.
L’appello, infatti, si fonda su una lettura inattuale e superata delle norme, che non tiene conto delle novità normative in materia di professioni regolamentate, introdotte dal D.L. n. 138/2011 (convertito in L. n. 148/2011) e dal regolamento attuativo (D.P.R. n. 137/2012), recante la riforma degli ordinamenti professionali.
L’articolo 3, comma 5, lettera c), del D.L.. n. 138/2011, in particolare, dispone che la disciplina del tirocinio per l’accesso alla singola professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al fine di assicurare il rispetto della condizione succitata, gli ordinamenti professionali devono prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinare, nonchè di un organo nazionale di disciplina.
L’articolo 6, comma 3, del D.P.R. n. 137/2012, poi, prevede che, nell’ambito del tirocinio per l’accesso professionale, il professionista affidatario è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in modo funzionale alla sua finalità.
Ed ancora, i praticanti sono tenuti ad osservare gli stessi doveri e norme deontologiche dei professionisti e sono soggetti al medesimo potere disciplinare (art. 6, co. 8, D.P.R. n. 137/2012).
Orbene, dal combinato disposto delle norme richiamate, si evince che l’effettivo svolgimento dell’attività formativa del tirocinio professionale, nelle modalità concrete declinate nel regolamento professionale relativo alla professione che il tirocinante intende svolgere, costituisce dovere deontologico sia del tirocinante, sia del professionista affidatario, entrambi soggetti al medesimo potere disciplinare degli organi territoriali e nazionali competenti. E’ evidente, perciò, che tale sistema, per la sua concreta applicazione, presuppone l’appartenenza del professionista “dante pratica” al medesimo Ordine professionale al quale l’aspirante consulente del lavoro intende iscriversi dopo il superamento dell’esame.
In sostanza, nel caso in cui al professionista sia affidato un aspirante consulente del lavoro, il dominus dante pratica è tenuto ad osservare la disciplina stabilita con regolamento del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, al fine di garantire il proficuo svolgimento della pratica, consentendo all’aspirante professionista di acquisire le competenze necessarie per lo svolgimento di tale attività professionale. Tuttavia, poiché il professionista è soggetto alla sola disciplina stabilita dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, laddove questi non sia iscritto a tale ordine professionale, ma a quello dei Dottori Commercialisti, non può soggiacere alla disciplina del regolamento di un differente Ordine professionale (quello dei Consulenti del lavoro) rispetto a quello di appartenenza e tantomeno può essere assoggettato al suo potere disciplinare.

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