In tema di accertamento sintetico del reddito ai fini IRPEF, o “redditometro”, la Corte di Cassazione ha precisato che la cd. “franchigia” pari al 25 per cento (ridotta al 20 per cento dai redditi del 2009) va calcolata prendendo a base il reddito sinteticamente accertabile; dunque in diminuzione sullo stesso e non già in aumento sul reddito dichiarato (Sentenza 22 aprile 2021, n. 10662). La controversia trae origine dagli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate ha rideterminato con metodo sintetico il reddito imponibile ai fini IRPEF (cd. “redditometro”), in considerazione della incongruità del reddito dichiarato per due o più periodi d’imposta, in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva individuati alla stregua dei decreti ministeriali. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente, riformando la decisione dei giudici tributari. In base alle disposizioni in materia di accertamento sintetico del reddito, nel testo applicabile al caso in esame (anni 2006, 2007), l’Ufficio può in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertabile si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle Finanze, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta. Nella fattispecie il contribuente ha sostanzialmente contestato la legittima applicazione dell’accertamento sintetico per effetto della mancata considerazione di taluni disinvestimenti, costituiti dalla successione ereditaria in favore del coniuge e dal rimborso assicurativo percepito, che lo stesso Ufficio, nel corso del procedimento di accertamento con adesione, aveva mostrato di ritenere idonei ad abbattere il reddito complessivo accertabile con metodo sintetico, di modo che, se di tali elementi fattuali si fosse tenuto conto, avrebbe dovuto essere esclusa la mancanza di congruità del reddito dichiarato dal contribuente per una annualità, venendo quindi meno il presupposto previsto dalla norma, per il quale l’accertamento redditometrico è legittimo quando il reddito dichiarato non risulta congruo in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva per due o più periodi d’imposta. La Corte Suprema ha ritenuto fondata la tesi del contribuente, rilevando che dal verbale redatto in sede di accertamento con adesione (risolto con esito negativo), l’Ufficio aveva mostrato di poter considerare i disinvestimenti indicati dal contribuente come disponibilità idonea a giustificare le spese sostenute nel periodo esaminato, senza poi tenerne conto nell’avviso di accertamento notificato al contribuente.
I giudici tributati hanno accolto in minima parte il ricorso del contribuente, confermando sostanzialmente la pretesa tributaria.
La decisione è stata impugnata dal contribuente che ha eccepito:
– errata determinazione della “franchigia”, per non aver considerato quale base di calcolo il reddito sinteticamente attribuibile in base ai beni ed ai servizi rilevanti per il redditometro;
– illegittimo utilizzo dei dati concernenti un investimento effettuato l’anno successivo a quelli oggetto di accertamento;
– assenza del presupposto per l’applicazione dell’accertamento sintetico, in considerazione di taluni disinvestimenti idonei ad abbattere il reddito complessivo accertabile con metodo sintetico, non considerati dall’Ufficio.
Il contribuente ha facoltà di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. L’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione.
Inoltre, con riferimento all’entità dei medesimi disinvestimenti, ove debitamente valorizzati, avrebbero escluso per una annualità lo scostamento di almeno un quarto tra il reddito complessivo netto accertabile e quello dichiarato, travolgendo così la stessa legittimità dell’accertamento sintetico anche in relazione all’altro (precedente) anno d’imposta.
In altri termini, è stata contestata l’applicazione del metodo sintetico per l’accertamento del reddito IRPEF, in mancanza del presupposto previsto dalla legge (applicabile ratione temporis), laddove richiede che lo scostamento tra reddito accertabile e reddito dichiarato nella misura di almeno un quarto debba sussistere per due o più periodi d’imposta.
La Suprema Corte ha inoltre precisato che, ai fini dell’accertamento sintetico:
– la cd. “franchigia” (un quarto, poi ridotta ad un quinto a decorrere dai redditi del 2009), che giustifica l’applicazione del metodo sintetico, va calcolata prendendo a base il reddito sinteticamente accertabile, dunque in diminuzione sullo stesso, e non già in aumento sul reddito dichiarato;
– qualora la determinazione sintetica del reddito sia legata alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.