Nelle realtà imprenditoriali di piccole e medie dimensioni, la responsabilità oggettiva dei componenti del Consiglio di amministrazione per violazioni della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, può dirsi sussistente in ragione della mera “posizione” ricoperta, in forza della partecipazione all’organo deliberativo, titolare del potere decisionale ed organizzativo dell’impresa e del potere di spesa, che identificano, nel loro riflesso sul rapporto di lavoro, la figura del datore di lavoro (Corte di Cassazione, sentenza 01 giugno 2021, n. 21522) Una Corte di appello territoriale aveva parzialmente riformato, riducendo la pena per il capo d’imputazione, la sentenza del Tribunale di prime cure con cui il Presidente e gli altri componenti del Consiglio di amministrazione di una società, erano stati ritenuti responsabili del reato di lesioni personali colpose gravissime ai danni di un dipendente, che aveva subito un infortunio a causa del cattivo funzionamento degli impianti.
Avverso la sentenza di secondo grado propongono ricorso tutti i membri del Consiglio e la stessa Società.
In particolare, con la prima doglianza, inerente alla posizione di uno solo dei membri del CdA, si sottolinea che questi svolgeva esclusivamente compiti di natura amministrativa e contabile, non esercitando in concreto funzioni datoriali, né aveva mai assunto alcuna responsabilità dell’organizzazione del lavoro e dell’unità produttiva. Dunque, in forza del principio di effettività, che impone di assegnare la posizione di garanzia solo a chi svolga in concreto le funzioni di datore di lavoro, nessuna responsabilità poteva essergli attribuita nella causazione dell’infortunio. Oltretutto, il consigliere, proprio in ragione del ruolo svolto, si era affidato a coloro che avevano specifiche competenze nell’individuazione delle misure da adottare per tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. In sostanza, l’incolpazione nei confronti dell’imputato finirebbe per risolversi in un’ipotesi di responsabilità oggettiva, determinata esclusivamente dalla carica rivestita.
Per la Suprema Corte, il motivo non è fondato.
In linea teorica, rivestono la qualifica di datore di lavoro tutti i componenti del Consiglio di amministrazione, che gestisce ed organizza l’attività di impresa (Corte di Cassazione, sentenza n. 6280/2007).
In concreto, però, nelle realtà più articolate ed in aziende di rilevanti dimensioni, l’individuazione della figura del datore di lavoro può non coincidere con la mera assunzione formale della carica di consigliere, laddove all’interno dell’organo deliberativo siano individuati soggetti cui vengono assegnati gli obblighi prevenzionistici. Più specificamente, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia (Corte di Cassazione, sentenza n. 8118/2017).
In tali situazione, peraltro, l’assunzione della veste di garante può derivare da formale investitura, dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche della figura o dal trasferimento di poteri e funzioni da parte del soggetto che ne è titolare. Se, infatti le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità derivante direttamente dall’investitura o dal fatto, non è richiesto il conferimento di alcuna delega, la quale, invece, opera una traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo (Corte di Cassazione, sentenza n. 37738/2013).
Dunque, ciò che identifica il datore di lavoro è la titolarità del potere decisionale sull’impresa e del potere di spesa, cui corrisponde l’obbligo prevenzionistico derivante dallo stesso esercizio dell’impresa. Un simile rapporto, tuttavia, deriva dal tipo di assetto organizzativo in cui il lavoratore presta la propria attività, modulandosi la figura di datore di lavoro non solo sulla titolarità dell’impresa e del rapporto di lavoro, ma anche sulla sua gestione attraverso l’esercizio dei poteri decisionali e di spesa.
Tanto premesso, nell’ambito di complesse organizzazioni imprenditoriali, l’estesa articolazione dell’organizzazione giustifica la ripartizione delle attribuzioni, in quanto funzionale al raggiungimento degli scopi dell’impresa. La forma può essere analoga a quella della delega di funzioni, ma anche implicita nell’incarico attribuito, consistente nel conferimento ad uno o più membri dell’organo deliberante di poteri esclusivi propri di quest’ultimo, senza che a ciò corrisponda una separazione tra il potere decisionale dell’imprenditore, nella sua forma societaria, e la sua gestione parcellizzata, convalidata dall’effettività del potere decisionale e di spesa conferito. In ogni caso, il limite dell’esonero degli altri componenti del Consiglio di amministrazione è delineato dall’obbligo della vigilanza, cui l’organo deliberativo non può in alcun caso sottrarsi, in quanto organo che conferisce un potere proprio.
Al contrario, una simile segmentazione dell’esercizio del potere gestorio non appare compatibile con realtà di piccole e medie dimensioni, la cui scarsa complessità implica l’intrinseca connessione fra la conduzione societaria dell’impresa e la sua semplice organizzazione, che non giustifica un modello di governo che ne disarticoli i poteri ed i correlativi obblighi, in assenza di una funzionalità al raggiungimento dello scopo dell’attività economica. La frammentazione per ambiti dei poteri decisori e di spesa finirebbe, infatti, con il coincidere con l’esonero alcuni dei componenti del consiglio di amministrazione dagli obblighi prevenzionistici connessi con l’attività di impresa, senza che a ciò corrisponda alcuna effettiva esigenza organizzativa del potere decisionale.
In forza di ciò, correttamente, i giudici di merito hanno affermato la responsabilità oggettiva dell’imputato, inerente alla “posizione” ricoperta, in forza della sua partecipazione all’organo deliberativo, titolare del potere decisionale ed organizzativo dell’impresa e del potere di spesa, che identificano, nel loro riflesso sul rapporto di lavoro, la figura del datore di lavoro.