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Sussistenza del licenziamento per g.m.o. e indagine sul carattere ritorsivo

2 Febbraio 2021 by Teleconsul Editore S.p.A.

In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, St.Lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. Nel caso di specie, la Corte distrettuale una volta accertata la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso, ha correttamente ritenuto superfluo indagarne il carattere ritorsivo in quanto mancante il requisito determinante dell’efficacia determinativa esclusiva (Cass. Sentenza n. 1514/2021).

La Corte d’appello di Cagliari ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo da una Congregazione religiosa nei confronti di una dipendente, resposansabile della struttura, in considerazione dell’andamento economico negativo delle strutture gestite dalla Congregazione che aveva imposto la riduzione dei costi e la rimodulazione dell’organizzazione di lavoro, con conseguente soppressione del posto di lavoro della dipendente che comportava, per il datore di lavoro, il costo più elevato e l’attribuzione delle mansioni ad una religiosa che prestava invece la sua opera senza corresponsione di retribuzione. La dipendente ha conseguentemente proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria.
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché dell’art. 2697 cod.civ. avendo, la Corte distrettuale, invertito, secondo la sua disamina, il rapporto di necessaria causalità tra soppressione della posizione del lavoratore e riassegnazione delle sue mansioni ad altro personale, ritenendo erroneamente che quest’ultima possa essere causa della prima e non già il contrario.
Tale motivo è risultato infondato. La Corte di Cassazione ha, infatti, ribadito che la ragione inerente all’attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) è quella che determina un effettivo ridimensionamento riferito alle unità di personale impiegate in una ben individuata posizione lavorativa, a prescindere dalla ricorrenza di situazioni economiche sfavorevoli o di crisi aziendali (cfr. Cass. n. 25201 del 2016, Cass. n. 10699 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017). La modifica della struttura organizzativa che legittima l’irrogazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere colta sia nella esternalizzazione a terzi dell’attività a cui è addetto il lavoratore licenziato, sia nella soppressione della funzione cui il lavoratore è adibito sia nella ripartizione delle mansioni di questi tra più dipendenti già in forze (Cass. n. 21121 del 2004, Cass. n. 13015 del 2017, Cass. n.24882 del 2017) sia nella innovazione tecnologica che rende superfluo il suo apporto, sia nel perseguimento della migliore efficienza gestionale o produttiva o dell’incremento della redditività, fermo restando, da una parte, la non sindacabilità dei profili di congruità ed opportunità delle scelte ma, dall’altra, il controllo sulla effettività e non pretestuosità della ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del recesso nonché sul nesso causale tra l’accertata ragione e l’intimato licenziamento.
E’ stato anche precisato (cfr. Cass. n. 25201 del 2016 e da ultimo Cass. n. 3819 del 2020) che l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove, però, il recesso sia motivato dall’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in giudizio se ne accerti in concreto, l’inesistenza, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale addotta.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato la ricorrenza di una ristrutturazione organizzativa determinata dall’esigenza di ridurre i costi delle attività gestite, tale da integrare legittimamente il presupposto dettato dall’art. 3 della legge n. 604 del 1966. Il riscontro di effettività ha correttamente riguardato la scelta aziendale di sopprimere il posto di lavoro occupato dalla lavoratrice – responsabile della struttura – e la verifica del nesso causale tra soppressione del posto e le ragioni dell’organizzazione aziendale addotte a sostegno del recesso (adibizione di una religiosa appartenente alla Comunità con conseguente soppressione di costi del lavoro e consistente risparmi annuali al fine di ripianare una situazione economica compromessa).

Tralasciando il secondo motivo (inammissibile), con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, nonché degli artt. 1345, 2697, 2909 cod.civ. avendo, la Corte distrettuale, trascurato di utilizzare la circostanza dell’esistenza di contrasti interni tra il personale religioso e la ricorrente. Anche tale motivo è però infondato. La giurisprudenza di legittimità ha già affermato che, in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento.
Il motivo illecito può ritenersi esclusivo e determinante quando il licenziamento non sarebbe stato intimato se esso non ci fosse stato, e quindi deve costituire l’unica effettiva ragione del recesso, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. L’esclusività sta a significare che il motivo illecito può concorrere con un motivo lecito, ma solo nel senso che quest’ultimo sia stato formalmente addotto, ma non sussistente nel riscontro giudiziale. Il giudice, una volta riscontrato che il datore di lavoro non abbia assolto gli oneri su di lui gravanti e riguardanti la dimostrazione del giustificato motivo oggettivo, procede alla verifica delle allegazioni poste a fondamento della domanda del lavoratore di accertamento della nullità per motivo ritorsivo, il cui positivo riscontro giudiziale dà luogo all’applicazione della più ampia e massima tutela prevista dal primo comma dell’art. 18 I. n. 300/70.
Nel caso in esame, la Corte distrettuale si è conformata ai principi di diritto espressi da questa Corte e, una volta accertata la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso, ha correttamente ritenuto superfluo indagarne il carattere ritorsivo in quanto mancante il requisito determinante dell’efficacia determinativa esclusiva.
Il ricorso è stato pertanto rigettato.

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