In una lite che vede coinvolte due società, conclusasi con un accordo transattivo che riconosce alla seconda il subentro nei rapporti dell’altra società previo versamento di una somma a favore di quest’ultima e che impone la mancata pretesa del pagamento di alcune fatture emesse nei confronti della subentrata, l’Iva già pagata sulle fatture prive di valore, in base all’accordo, può essere recuperata con istanza di rimborso (Agenzia Entrate – risposta 04 novembre 2021, n. 762). L’art. 26, co. 3, del decreto IVA, nell’estendere la possibilità di emettere le note di variazione in diminuzione ai casi di accordo tra le parti, nonché di indicazione in fattura di corrispettivi o relative imposte in misura superiore a quella reale, ne limita tuttavia la portata temporale: 2. Nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa. 3. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”. Con diversi documenti di prassi e risposte a specifiche istanze dei contribuenti, l’Agenzia delle Entrate ha già chiarito che: Pertanto, in continuità con la linea interpretativa dei giudici di legittimità sul punto, che il diritto al rimborso deve comunque essere riconosciuto, nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta, laddove vi sia stato un errore a fronte del quale “il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente”, circostanza che ricorre, ad esempio, quando risulti accertato che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione.
Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt 23 e 24 del decreto Iva, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione.
Tale disposizione non può essere applicata dopo il decorso di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti e può essere applicata, entro lo stesso termine, anche in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione.
L’art. 30- ter del decreto Iva disciplina invece il rimborso dell’imposta eventualmente non dovuta, prevedendo che:
“1. Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
– l’emissione di note di variazione (art. 26, decreto IVA) è lo strumento principale (e generale) per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione;
– nell’impossibilità oggettiva di emettere tempestivamente le note, può farsi ricorso al cit. art. 30- ter del medesimo decreto: né, peraltro, è possibile il ricorso all’istituto disciplinato dall’articolo 30-ter del decreto IVA che, essendo norma residuale ed eccezionale, trova applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie l’emissione di una nota di variazione in diminuzione).